Abitavo a Ca’ di Bazzone, in un condominio centrale che si affacciava direttamente sulla via Idice.
Oggi non rappresento con la mia età un passato del paese lontano, ma mi rendo conto, ripensando alla mia infanzia, che posso già dire di aver vissuto “un’altra epoca”.
Da bambino andavo a giocare nel cortile del mio stabile, con quello che si trovava intorno e molta fantasia. Il gioco nasceva immenso dalla creatività che ci esplodeva in testa, non era succube di acquisti particolari. Mi ritrovavo quotidianamente con gli altri ragazzini degli appartamenti accanto; si viveva giocando, passando la giornata insieme.
Alle volte mi ricordo che mi fermavo dalla “Checca”, una signora anziana che stava al piano di sotto. Corta e corpulenta, ondeggiava nei suoi passi come una piccola sedia a dondolo. La porta era protetta da una serie di listarelle di plastica verdi scuro che scendevano fino al pavimento, per tenere fuori le mosche. Le scostavo delicatamente come fossero capelli lunghi di una grande creatura fantastica e mi perdevo nella penombra perenne del suo appartamento e nei suoi racconti. Era molto dolce con noi bambini.
Un ricordo che ho ancora, a cui dedico molta nostalgia, era quello di vedere, mentre scendevo in cortile e scorrevo davanti a tutte le porte, le chiavi inserite nella toppa. Tutti i portoni, uno dopo l’altro, avevano le chiavi appese in mazzi agglomerati di nodi metallici.
Quello era il segno più espressivo di quanto quel luogo fosse un ambiente sano. Si viveva nell’onestà delle persone e nella fiducia. La semplicità era alla base dei rapporti umani e li rendeva puri e veri. Le porta blindate non esistevano e “non servivano”. Le prime che si cominciavano a vedere erano quelle dei condomini di nuova costruzione, quelli moderni.
Dall’altra parte della strada, la chiesa dedicata a Santa Maria del Suffragio, la domenica, abbracciava il paesaggio con i suoni delle campane. Quelle registrate, come è anche oggi per le svariate parrocchie italiane. Accanto, però, tutt’oggi è presente una piccola costruzione che accoglie le campane, quelle vere. Ciclicamente i campanari, per le occasioni clericali più significative, facevano risuonare la melodia nella valle. Il suono era fortissimo. Da casa pareva un richiamo lontano alla vita di paese; una tradizione rassicurante che ricordava a tutti quali fossero le certezze di una sana comunità.
Sulla via Idice, in prossimità del ponte, è oggi visibile una piccola casa recintata poiché in pericolo di crollo. Lì c’era la bottega che vendeva un po’ di tutto. Una stanza angusta dove potevi trovare il latte, ma anche i giornali. In genere però, quando volevo i ciccioli per farmi un panino, si andava da Paolo. Che, nel caso, si poteva comprare e pagare dopo perché lui “segnava”.
Tutto questo, nelle cose belle e meno belle, mi manca. Mi manca la vita vera di paese. I rapporti più saldi che c’erano tra la gente. Io oggi rincorro questo. Lo cerco per i miei figli e lo cerco per la comunità. Investire nelle attività e iniziative che portano a creare una collettività di valori e persone.
Monterenzio dovrebbe riassaporare questi sapori. Forse non è troppo tardi e si può credere veramente in una rinascita.
Michele Spanò