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Pensieri appoggiati nella piazzetta mediatica.

Se passeggi a Monterenzio e ti fermi qualche minuto sentirai ancora oggi il rumore delle pale grattare l’asfalto. Al passaggio delle macchine nelle giornate di sole, verrai coperto lentamente con leggerezza da nuvole di sabbia gialla.

La vita in paese, già nella normalità non propriamente affollata, adesso è meno che dimezzata. Il ritmo delle auto è lacunoso, ha vuoti anche di minuti. E nei bar, quando era bello la mattina incontrare i tuoi compagni di paese ancora assonnati mentre stavano per iniziare la loro giornata, spesso ti ritrovi da solo.

Il nostro è un paesino ferito. Menomato.

Credo che nella tragicità di questo periodo sia bellissimo aver vissuto quanto sia radicato e forte il carattere generoso e vero della nostra gente. Di noi.

Le assemblee pubbliche dei nostri rappresentanti cui abbiamo affidato speranze e sogni ci hanno regalato molte verità e certezze.

Molti degli interventi trasudavano rabbia per l’incompetenza e inconcludenza dimostrata. Ma non credo siano questi gli aspetti che sono stati condannati di più.

La lontananza dell’essere di tutte queste persone dalla loro gente, nelle distanze che hanno voluto da noi, nell’atteggiamento borioso, nella saccenza e superbia, all’assoluta mancanza di autocritica; questo penso che sia stato l’aspetto che ha compromesso irrimedialmente una cooperazione con la gente. Anche solo morale.

E’ facile definire i cittadini in assemblea irruenti e combattivi. Ma è altrettanto facile comprendere come siano stati portati ad essere dove sono.

Un guado non era assolutamente fattibile. A tre giorni dalla riunione di lunedì, il guado si farà.

O vuol dire che il progetto non era stato preso in considerazione. O vuol dire che il progetto non era stato portato avanti in modo efficace. Perché se il guado si farà, vuol dire che si poteva fare da subito.

Questo è emblematico sulle capacità della nostra giunta.

Non voglio immaginare quanto sia penoso, desolante e infelice sentire i propri cittadini delusi e furiosi per il proprio operato. Una cosa del genere credo non sia mai successa nella storia di Monterenzio.

Come altrettanto non comprendo (e giuro mi ci arrovello da settimane) come queste persone non riescano a comunicare il loro avvilimento nell’aver dimostrato i propri limiti. Le scuse per tutto quello che è mancato. E manca tutt’ora.

Nessuna parola che porti un perdono, un’ombra di umiltà.

Quanto sono lontani.

Tutti, nessuno escluso. Tutti compatti in questo modo di essere, portano avanti un atteggiamento dall’alto in basso, protetti e asettici nei confronti delle voci della gente. Troppe testimonianze di non ascolto. Troppe testimonianze di risposte sgradevoli e sfacciate. Che tipo di unione ci si può aspettare con la perseveranza su questo binario cieco?

Non basta una maglietta per unire. Non è il vestire uguale che unisce. E’ l’essere nei valori e negli obiettivi comuni che unisce. Salda.

Io sono un volontario abusivo. E’ stato straordinario e rivelatore ascoltare questa frase. Una persona che sente il bisogno di aiutare nel concreto, che prima di mettersi a parlare lo trovi già con le mani sporche.

Noi siamo volontari abusivi. Lo siamo tutti, dentro. Ieri è stato urlato con orgoglio. E amore. Io lo sono sicuramente.

Lasciamo un attimo da parte la rabbia che spinge le parole. Dedichiamoci a questa unità che è vera come la nostra gente.

Mi auguro che i volontari abusivi rimangano con noi per un futuro migliore di Monterenzio. Che siano quelli che mio figlio incontrerà un giorno per strada, quando sarà grande e forse (ma speriamo mai più) ci sarà da spalare di nuovo.

Michele Spanò

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Perché ho scelto di partecipare

Michele SpanoMichele Spano15 Aprile 2024

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